Onorevoli Colleghi! - «È stato facile stabilire un primo punto fermo: cosa debba intendersi per tortura. Su questo punto ci soccorrevano la storia, gli scritti dei grandi illuministi (Verri, Beccaria, Voltaire, Manzoni), le letture recenti (ad esempio, La Question di Henri Alleg, sulla guerra di Algeria, o La Confessione di Arthur London, in cui il dirigente politico cecoslovacco descrive gli orribili metodi con cui i servizi di sicurezza del suo Paese torturavano i dissidenti politici negli anni cinquanta); ci sono state di grande aiuto anche le sentenze della Corte europea sui diritti dell'uomo (ad esempio quelle sulle cosiddette tecniche di aiuto all'interrogatorio, usate dagli inglesi nell'Irlanda del Nord), o il rapporto della Commissione europea sui diritti dell'uomo nella Grecia dei colonnelli. Senza nemmeno discuterne tra noi, ci è sembrato evidente che la tortura fosse qualunque violenza o coercizione, fisica o psichica, esercitata su una persona per estorcerle una confessione o informazioni, o per umiliarla, punirla o intimidirla. Nella tortura la disumanità è deliberata: una persona compie volontariamente contro un'altra atti che non solo feriscono quest'ultima nel corpo o nell'anima, ma ne offendono la dignità umana. Nella tortura c'è insomma l'intenzione di umiliare, offendere e degradare l'altro, di ridurlo a cosa». Così si esprimeva Antonio Cassese nelle sue memorie

 

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di presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o dei trattamenti inumani o degradanti.
      La tortura, così come il genocidio, è considerato crimine contro l'umanità dal diritto internazionale. La proibizione della tortura e di altre forme di trattamento o punizione crudeli, inumane o degradanti costituisce oggetto di molteplici convenzioni internazionali ratificate anche dal nostro Paese.

      La Convenzione delle Nazioni Unite approvata dall'Assemblea generale il 10 dicembre 1984 e ratificata dall'Italia ai sensi della legge 3 novembre 1988, n. 498, all'articolo 1 definisce il crimine della tortura come «qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito». All'articolo 4 si prevede che ogni Stato parte vigili affinché tutti gli atti di tortura vengano considerati quali trasgressioni nei confronti del proprio diritto penale. Lo stesso vale per il tentativo di praticare la tortura.
      Nasce così un obbligo giuridico internazionale ad oggi inadempiuto dal nostro Paese, ossia l'introduzione del reato di tortura nel codice penale, più volte sollecitato sia dal Comitato sui diritti umani istituito dal Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966, ratificato ai sensi della legge n. 881 del 1977, sia dal Comitato istituito dalla Convenzione europea per la prevenzione della tortura, adottata a Strasburgo il 26 novembre 1987, di cui alla legge 2 gennaio 1989, n. 7, il quale, nell'esame dei rapporti periodici sull'Italia, ha sottolineato più volte come fosse necessario supplire a tale lacuna normativa. La proibizione della tortura è anche esplicitamente prevista all'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, e all'articolo 7 del citato Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici. In sede europea, dal 1989 opera, a seguito della citata Convenzione, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), cui si è già fatto riferimento, le cui visite periodiche nelle carceri e nelle stazioni di polizia dei Paesi firmatari la Convenzione costituiscono il più efficace deterrente contro ogni tentazione di violazione dei diritti fondamentali delle persone private della libertà personale. Per chiudere il quadro internazionale di riferimento, esiste anche una Convenzione interamericana contro la tortura, mentre la Carta africana la proibisce espressamente.
      L'esplicita previsione del reato di tortura, oltre che a corrispondere a un obbligo giuridico internazionale, costituisce un forte messaggio simbolico in chiave preventiva. Significa chiarire con nettezza quali sono i limiti dell'esercizio della forza e quali sono i limiti dell'esercizio dei pubblici poteri rispetto ad esigenze investigative o di polizia.
      Alcune questioni devono essere preliminarmente affrontate per meglio chiarire l'ambito di azione di una legge che intende introdurre il reato di tortura nel nostro ordinamento penale.
      È difficile esplicitare esaustivamente il contenuto del reato di tortura. Proprio per evitare operazioni ermeneutiche che ne ridimensionino la portata, è necessario procedere ad una elencazione casistica, seppure non onnicomprensiva, delle fattispecie che possono essere configurate quali episodi di tortura. Una prima distinzione è tra forme di tortura fisica (pestaggi sistematici e no, molestie sessuali, shock elettrici, torture con getti di acqua, mutilazioni)
 

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e forme di tortura psicologica (ingiurie verbali, minacce di morte, costrizione alla nudità integrale, costrizione ad assistere alla tortura o alla morte di altri detenuti, minacce trasversali, ispezioni improvvise e senza mandato, sorveglianza continua durante l'espletamento di attività lavorativa, perdita del lavoro o della possibilità di continuare gli studi al termine del periodo di detenzione).
      Questa prima elencazione, frutto di un'analisi della giurisprudenza internazionale, evidenzia come la tortura possa essere non solo inflizione di sofferenza fisica, ma anche di sofferenza psicologica. E nel nostro ordinamento oggi è certamente insufficiente la mera previsione del reato di minaccia di cui all'articolo 612 del codice penale.
      La definizione di tortura presente all'interno della stessa Convenzione delle Nazioni Unite, essendo ripresa nella proposta di legge, richiede alcuni chiarimenti. Essa è primariamente intesa a tutelare i detenuti, ossia le persone in stato di detenzione legale. Destinatario del crimine di tortura è anche colui che si trova in uno stato di detenzione illegale o di fatto (ad esempio ricovero forzato in un ospedale psichiatrico). In tale senso si è espresso il Comitato sui diritti umani che ha interpretato la proibizione della tortura prevista all'articolo 7 del citato Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici quale strumento di protezione non solo delle persone condannate o arrestate, ma anche degli allievi nelle scuole e dei malati negli ospedali. Ogni definizione di tortura, pertanto, non deve essere confinata alle sole ipotesi di violenze nei luoghi di detenzione. In prospettiva è quindi auspicabile che l'ambito applicativo si estenda sino a ricomprendere episodi di violenza sessuale posti in essere da pubblici ufficiali o di lavoro forzato a danno di minori. Il concetto di tortura deve essere riempito di contenuti dettati dalle circostanze politiche e dal momento storico.
      Altra questione riguarda l'autore del reato. Non è necessario che il pubblico ufficiale sia autore diretto della tortura; è sufficiente che ne sia istigatore, complice consenziente o mero soggetto acquiescente alla commissione del crimine. Pertanto un cittadino comune utilizzato o impiegato da un pubblico ufficiale per commettere violenza fisica o psicologica nei confronti di un altro cittadino, in stato di detenzione o no, per le finalità descritte con precisione nella norma, commette il reato di tortura. Vi deve essere un nesso di causalità diretto tra l'istigazione e l'atto compiuto, nesso che non viene meno nei casi in cui il privato cittadino vada oltre il mandato conferitogli. Deve rispondere di tortura anche il pubblico ufficiale tacitamente consenziente alla commissione di atti di tortura compiuti da soggetti privati o che si sottrae volontariamente all'obbligo di impedire un atto di tortura.
      La rielaborazione della nozione di tortura deve spingersi sino a ricomprendere tutte quelle ipotesi in cui gruppi para-legali (ad esempio «squadroni della morte» o gruppi armati non dello Stato) fruiscono dell'incoraggiamento, anche indiretto, dello Stato per intraprendere azioni dirette a sopprimere gli oppositori politici.
      Deve essere tenuto in debito conto, inoltre, il ruolo che il sesso e il genere possono giocare nella identificazione degli atti di tortura. Non può essere tralasciato come ben diversi siano i rischi cui una donna è soggetta durante un interrogatorio rispetto ad un uomo, così come differenti sono le condizioni di detenzione affinché si configuri un trattamento non rispettoso della dignità della persona.
      Infine, la tortura non include, ovviamente, le sofferenze derivanti dall'applicazione di una sanzione legale o ad essa inerente o accessoria.
      Per tutte queste ragioni è importante prevedere l'introduzione del reato di tortura nel nostro codice penale. Non possono essere ritenuti sufficienti gli articoli 606 (arresto illegale), 607 (indebita limitazione di libertà personale), 608 (abuso di autorità contro arrestati o detenuti), 609 (perquisizione e ispezione personali arbitrarie) del codice penale, sia per la non severità della sanzione, sia per la non
 

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incisività del contenuto. Dall'altro lato, nei reati di percosse (articolo 581 del codice penale) e di lesione personale (articolo 582 del codice penale) manca la specificità dell'elemento soggettivo, tipico, invece, della tortura.
      L'introduzione del reato di tortura costituisce quindi un adeguamento della normativa interna a quella sovranazionale, colma le lacune del diritto interno (gli atti di tortura che non provocano lesioni gravi sono oggi punibili solo a querela di parte e rischiano quindi l'impunità, così come le sottili torture psicologiche non rientranti nel novero delle lesioni personali), costituisce norma di chiusura dell'ordinamento a garanzia dei diritti umani di tutti i cittadini.
      La presente proposta di legge, che introduce il reato di tortura nel codice penale nell'ambito dei delitti contro la persona (e, precisamente, a chiusura del capo concernente i delitti contro la vita e l'incolumità individuale), prevede la procedibilità di ufficio, pene particolarmente severe - in quanto si attenta ai diritti umani fondamentali -, l'obbligo di negare l'immunità diplomatica a chiunque si sia macchiato di reati di tortura anche all'estero, nonché l'istituzione di un fondo ad hoc per la riabilitazione delle vittime della tortura.
 

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